Ma il vanto dell'isola è il «Piton de la Fournaise», il suo vulcano, alto 2631 metri. È il simbolo de La Réunion, che migliaia di anni fa era un unico grande cratere. E ancora oggi il colore della lava macchia il territorio. Nere sono le scogliere, neri i picchi, nera la terra, neri i sassi a vista delle case più povere. E tutto attorno il verde di una vegetazione tropicale lussureggiante, nutrita dalle piogge che bagnano l'isola: mentre sulle spiagge splende sempre il sole, all'interno le vette attirano le nubi come calamite e a lunghi momenti di sereno si alternano scrosci copiosi quanto improvvisi.
I gioielli più apprezzati dai turisti sono i tre cirque che formano il cuore dell'Isola: Mafate, Salazie e Cilaos. I cirque sono degli ibridi meravigliosi, un incrocio tra i canyons americani e le vallate alpine. Ai bordi catene lussureggianti di cime tinteggiate di mille verdi diversi; al centro giagantesche depressioni frustate dalla caduta di decine di limpide cascate d'acqua. Qua e là piccoli punti colorati: i villaggi creoli, molti raggiungibili solo a piedi o in elicottero. I cirque sono il paradiso dei trekker, l'Olimpo di chi ama camminare in montagna sprofondato in paesaggi pittoreschi e incantati, avvolto dagli stordenti profumi dei fiori tropicali. Un'escursione lungo le sponde di Mafate vale da sola il viaggio. Ripaga di ogni fatica.
Ma il godimento degli splendidi rilievi dell'isola non è un'eslusiva degli sportivi: anche i pigri possono procurarselo. Due compagnie locali mettono a disposizione i loro elicotteri per il sorvolo de La Réunion. E, visti dall'alto, il Piton de la Fournaise, il Piton des neiges, i cirque, e le acque color indaco dell'Oceano sono ancor più maestosi e seducenti.
Una terra di padroni e di schiavi. Dove, per marcare le differenze, ai servi era proibito portare il cappello. Anche quando tagliavano la canna da zucchero sotto il sole cocente. E quando la schiavitù fu abolita, per decenni i neri non osarono mettere il copricapo. Fino a che, ai primi del Novecento, un politico locale progressista, durante la campagna elettorale, fece arrivare migliaia di cappelli dalla Francia, li distribuì ai «colored» e vinse le elezioni.
Sull'isola si trovano tutte le tinte che la pelle di un uomo può avere, dal nero più scuro dei discendenti degli schiavi africani, al bianco intenso degli eredi dei primi coloni francesi: ci sono i discendenti dei mercanti indiani, dei braccianti asiatici, degli arabi in cerca di spezie e anche di italiani giunti fin qui non si sa come e perché; nel cimitero marino si trovano le loro tombe erose dal sale e dal tempo. Tutte le razze si sono incrociate tra loro dando vita a un'unica cultura creola. Sono nate una lingua creola, una musica creola e, soprattutto, una cucina creola, che, come i paesaggi dei cirque, da sola, vale il viaggio a La Réunion. La raffinatezza dei manicaretti francesi si incrocia con la potenza delle spezie indiane, con l'eleganza esotica dei piatti cinesi e tailandesi, coi terragni sapori africani. Mangiare sull'isola, anche in una povera osteria sui monti, è un piacere indimenticabile, un impareggiabile viaggio nelle cucine del mondo. Un trionfo inebriante di diversità.
La combinazione di ricche piogge e sole tropicale ha trasformato l'isola in un piccolo eden. Ovunque si aprono orti botanici e giardini, vere e proprie foreste dentro le quali il viaggiatore si può perdere come in un sogno. La pianta del pepe si alterna con la cola; la papaya con i lichy, mentre le orchidee, parassiti delicati e carnosi, pendono molli dai rami di alberi color smeraldo. E' proprio l' orchidea la regina dell'isola: da una delle sue infinite varietà nasce la vaniglia. Un grande fagiolo lungo e nero che dopo mesi di trattamento e stagionatura diventa la matrice dei più sofisticati piatti creoli e di alcune ghittonerie della pasticceria europea.
Atmosfere incantate, sapori e colori fanno dell'isola un paradiso, una sirena che attrae irresistibile chi ama il trekking, il sole e gli sport di mare.
(Di Luigi Alfieri - da Gazzetta di Parma del 28 aprile 2004)