Le sue radici affondano nel passato, ma Shanghai corre disperatamente verso il futuro. Come il «treno magnetico» che accoglie i viaggiatori all’aeroporto internazionale. Appena il tempo di salire e il convoglio si lancia, come impazzito, sulla sua unica rotaia: pochi secondi e si raggiungono i 400 chilometri all’ora. Velocità pura. Brividi. Un vago senso di esaltazione. Quella velocità pura, quei brividi, quel vago senso di esaltazione che da un decennio tengono sotto scacco gli abitanti di una megalopoli da 17 milioni di anime in fuga dal comunismo reale e lanciata verso il capitalismo selvaggio. Corrono, corrono, corrono per cambiare la loro vita, la loro città, il loro Paese, che significa cambiare un bel pezzo di mondo, perché in Cina vivono un miliardo e 300 milioni di persone. A Shanghai si respira quella voglia di fare, di produrre, di cambiare tutto, che da noi si respirava negli anni sessanta. Una febbre, un fremito che squassa tutta la città. Quando il supertreno arriva in stazione il viaggiatore viene aggredito da un paesaggio sorprendente. Vetro metallo. Grattacieli ovunque. Uno «skyline» americano. Il terzo più alto edificio del mondo, la torre dell’Hyatt Hotel, è qui, in riva al fiume. Ma non è un gigante solitario, gli fanno corona centinaia di ciclopiche case di vetro dove si può specchiare solo il grigio del cielo. Grigio, sì, non azzurro. Troppo inquinamento. Hanno buttato giù interi quartieri per costruire questa foresta di ferro. Hanno abbattuto le belle dimore degli inglesi, dei francesi e di tutti gli europei che durante il periodo delle concessioni usavano la languida (allora) Shanghai come porta per la Cina. Paese misterioso e stanco, dai ritmi lenti e ben calcolati. Non come oggi che i cinesi sembrano formiche impazzite. Formiche che si muovono senza sosta, per costruire, vendere e comprare. Di Europeo, a Shanghai, è rimasto il Bund, il grande viale che corre lungo il fiume Huang-po, con i suoi massicci palazzi di epoca vittoriana. Poco altro: alcune ville liberty sparse qua e là, qualche albergo, poche banche. Nel quartiere di Xin Tian Di, quello delle boutiques, dei locali da ballo, dei bar alla moda, stanno recuperando alcune case del periodo coloniale. Le poche che si sono salvate. Per fortuna, durante la corsa sfrenata verso il «progresso», qualcuno, qui a Shanghai, nei piani alti della politica e del potere, ha cominciato a porsi delle domande. A chiedersi dove finirà la frenetica marcia forzata della metropoli. Che tipo di vita attende i giovani, spossati dall’immenso sforzo per produrre sempre di più. Quale senso di identità comune possa tenere unite milioni di persone. Hanno capito che l’unica garanzia di un avvenire equilibrato viene dalla riscoperta del passato, dei tesori culturali e artistici di una civiltà millenaria e gloriosa. Di quello che le grandi dinastie di secoli fa hanno lasciato a Shangai. Nella stanza dei bottoni l’ubriacatura è finita ed è arrivato il momento di salvare il salvabile. Non si distruggeranno più i vecchi quartieri per costruire grattacieli. Tutto quello che è antico diventa sacro. Viene salvato e accudito con cura. La «Città Vecchia» è rinata. Ogni suo edificio è conservato come una reliquia: le sue antiche costruzioni, le sue tradizioni millenarie, le abitudini quotidiane di un vasto gruppo di abitanti che non si sono lasciati prendere dalla frenesia, sono lì a contrapporsi alla modernità sfrenata e al consumismo violento. Per i vicoletti storici si incontrano ancora persone che praticano il Tai Chi, quel misto di esercizi respiratori, tecniche di meditazione, elegante ginnastica a corpo libero che tanto affascina l’Occidente. E nel cuore del cuore di Shangai resiste la Casa del Mandarino Yu, con i suoi insuperabili giardini. Veri e propri «quadri» disegnati da grandi pittori di quattro secoli fa, che riproducono, in formato bonsai, la bellezza dei paesaggi montani. Lì il dignitario imperiale si ritirava per contemplare le rocce, gli alberi, i fiumi in scala ridotta e meditare. Pensava alla vita e al suo significato. Al tempo, all’essere, al divenire. Al futuro. Ed è un bene che i giardini siano ancora lì ad ammonire i cinesi di oggi. Come è un bene che ci sia ancora il tempio del Buddha di Giada, che Zhou Enlai salvò dalla furia distruttrice delle guardie rosse della Rivoluzione Culturale. Come è un bene che si siano salvati parchi e «case da tè». Abitazioni dai tetti ricurvi e vetuste farmacie. Il loro rispecchiarsi nei vetri dei grattacieli dà un senso alla vita della città. (Di Luigi Alfieri - da Gazzetta di Parma del 20 aprile 2005) | NOTIZIE UTILI Shanghai è la locomotiva economica della Cina. Per visitarla occorrono il passaporto e il visto, che per i turisti può anche essere collettivo. Tra gli operatori italiani più attivi sulla destinazione, «Columbia Turismo» (www.Columbiaturismo.it) che lavora in partnership con le linee aeree Sas (www.scandinavian.net) che realizzano diversi collegamenti tra Italia e Cina. Columbia lavora principalmente con operatori cinesi privati: un altro segno dell'emancipazione del Paese. Uno dei principali problemi per chi si reca a Shanghai è la lingua. Pochi parlano inglese: non i tassisti. |
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Luigi AlfieriGiornalista. Scrittore. Giramondo. Categories
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November 2013
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