Quattro chiacchiere con Luigi Alfieri
Luigi Alfieri ed Ettore Mo a Cremona
Luigi, perché hai scritto questo libro?
I motivi sono diversi. Il principale è che ho voluto reagire alla crisi dell'editoria tradizionale legata ai viaggi.
E cioè?
Internet - lo stesso web che stiamo usando per questa intervista - sta uccidendo il settore. Quasi tutte le riveste di viaggi hanno chiuso. Di libri non se ne pubblicano più. Fotografi e giornalisti free-lance sono a spasso. La gente "viaggia" navigando sulla rete, in modo freddo e asettico. Ha perso il piacere tattile e visivo della carta stampata. Io ho la fortuna di lavorare in un giornale - uno dei pochi - che ha mantenuto una pagina settimanale dedicata al viaggio e di avere un editore - Mup - disponibile a rischiare quattrini in una difficile scommessa. Cerco di far sognare i lettori grazie al giornale e ora anche col libro. Vorrei che si riscoprisse il piacere di sfogliare le pagine... Aprire il volume in due e godersi le fotografie di Alessandro Gandolfi. Rigirarle a piacimento.
Tutto qui? Solo per il piacere di sfogliare le pagine?
Non mi sembra poco. E' uno sforzo gigantesco. In realtà c'è anche un motivo più personale. Il viaggio mi ha dato delle emozioni eccezionali e non voglio tenerle tutte per me. Voglio condividerle. Voglio fare sognare i lettori come ho sognato io in mezzo ai deserti, sulle scogliere in tempesta, nelle grandi praterie, nelle metropoli del mondo. Voglio far conoscere i pensieri che i viaggi mi hanno suscitato. E provo un certo godimento a promuovere un libro attraverso il suo carnefice: Internet.
Ma è possibile ricreare sulla carta sentimenti così personali?
Credo di sì. Basta viaggiare coi 5 sensi sempre accesi. Registrare nella mente i colori, i profumi, i suoni, i sapori, le sensazioni più piacevoli. Se le racconti bene puoi fare partire la mente del lettore, così come è partita la tua mente.
Cosa ti hanno suggerito tutte queste emozioni, o meglio, cosa hai imparato viaggiando?
Per esempio, il contatto coi deserti, con le praterie sterminate, con l'immensità dell'oceano, con le balene fossili, con le foreste pietrificate, mi hanno insegnato a pensare al tempo e allo spazio in un modo nuovo. Ho avuto la sensazione palpabile, non teorica come accade studiando la filosofia e le scienze umane, che l'uomo vive sprofondato nell'immensità cosmica. Accoccolati su una duna del Sahara, sotto un cielo cobalto, ci si mette a guardare una stella che sembra così vicina da potere essere raccolta come un fiore: ebbene, quella stella è lontana migliaia di anni luce. Nella "Valle delle foglie" in Alto Adige, gli anni si contano a milioni e una scritta ti avvisa che la terra è nata 4 miliardi di anni fa. E tu sei li che in pochi chilometri attraversi migliaia di secoli di storia. E cresce la simpatia e la stima per l'uomo.
Non credo di avere afferrato, sai...
Noi tutti siamo dei granellini di sabbia persi in un tempo e in uno spazio infiniti. Ebbene, pur così minimi, abbiamo il coraggio di sfidare il cosmo. Abbiamo la forza di indagare sulle nostre origini, sul nostro destino. Vogliamo sapere come siamo arrivati qui e cosa ci aspetta. Ci lanciamo nello sforzo disperato di misurare il tempo e lo spazio. Vogliamo ricostruire tutto quello che è successo nei 4 miliardi di anni che ci hanno preceduto. E ogni giorno che passa amo e ammiro sempre di più quei granelli che siamo. E' davanti agli spettacoli offerti dal viaggio che ho imparato a capire sempre meglio i poeti, i filosofi gli scienziati.
Per esempio?
Per esempio i versi di William Blake: "vedere il mondo in un grano di sabbia/e il paradiso in un fiore selvaggio/tenere l'infinito nel palmo di una mano/e l'eternità in un'ora".Questo, per esempio, è quello che si prova davanti a un giardino zen in un tempio di Kyoto, Giappone. Ma anche davanti al ghiacciaio Perito Moreno, Argentina.
I motivi sono diversi. Il principale è che ho voluto reagire alla crisi dell'editoria tradizionale legata ai viaggi.
E cioè?
Internet - lo stesso web che stiamo usando per questa intervista - sta uccidendo il settore. Quasi tutte le riveste di viaggi hanno chiuso. Di libri non se ne pubblicano più. Fotografi e giornalisti free-lance sono a spasso. La gente "viaggia" navigando sulla rete, in modo freddo e asettico. Ha perso il piacere tattile e visivo della carta stampata. Io ho la fortuna di lavorare in un giornale - uno dei pochi - che ha mantenuto una pagina settimanale dedicata al viaggio e di avere un editore - Mup - disponibile a rischiare quattrini in una difficile scommessa. Cerco di far sognare i lettori grazie al giornale e ora anche col libro. Vorrei che si riscoprisse il piacere di sfogliare le pagine... Aprire il volume in due e godersi le fotografie di Alessandro Gandolfi. Rigirarle a piacimento.
Tutto qui? Solo per il piacere di sfogliare le pagine?
Non mi sembra poco. E' uno sforzo gigantesco. In realtà c'è anche un motivo più personale. Il viaggio mi ha dato delle emozioni eccezionali e non voglio tenerle tutte per me. Voglio condividerle. Voglio fare sognare i lettori come ho sognato io in mezzo ai deserti, sulle scogliere in tempesta, nelle grandi praterie, nelle metropoli del mondo. Voglio far conoscere i pensieri che i viaggi mi hanno suscitato. E provo un certo godimento a promuovere un libro attraverso il suo carnefice: Internet.
Ma è possibile ricreare sulla carta sentimenti così personali?
Credo di sì. Basta viaggiare coi 5 sensi sempre accesi. Registrare nella mente i colori, i profumi, i suoni, i sapori, le sensazioni più piacevoli. Se le racconti bene puoi fare partire la mente del lettore, così come è partita la tua mente.
Cosa ti hanno suggerito tutte queste emozioni, o meglio, cosa hai imparato viaggiando?
Per esempio, il contatto coi deserti, con le praterie sterminate, con l'immensità dell'oceano, con le balene fossili, con le foreste pietrificate, mi hanno insegnato a pensare al tempo e allo spazio in un modo nuovo. Ho avuto la sensazione palpabile, non teorica come accade studiando la filosofia e le scienze umane, che l'uomo vive sprofondato nell'immensità cosmica. Accoccolati su una duna del Sahara, sotto un cielo cobalto, ci si mette a guardare una stella che sembra così vicina da potere essere raccolta come un fiore: ebbene, quella stella è lontana migliaia di anni luce. Nella "Valle delle foglie" in Alto Adige, gli anni si contano a milioni e una scritta ti avvisa che la terra è nata 4 miliardi di anni fa. E tu sei li che in pochi chilometri attraversi migliaia di secoli di storia. E cresce la simpatia e la stima per l'uomo.
Non credo di avere afferrato, sai...
Noi tutti siamo dei granellini di sabbia persi in un tempo e in uno spazio infiniti. Ebbene, pur così minimi, abbiamo il coraggio di sfidare il cosmo. Abbiamo la forza di indagare sulle nostre origini, sul nostro destino. Vogliamo sapere come siamo arrivati qui e cosa ci aspetta. Ci lanciamo nello sforzo disperato di misurare il tempo e lo spazio. Vogliamo ricostruire tutto quello che è successo nei 4 miliardi di anni che ci hanno preceduto. E ogni giorno che passa amo e ammiro sempre di più quei granelli che siamo. E' davanti agli spettacoli offerti dal viaggio che ho imparato a capire sempre meglio i poeti, i filosofi gli scienziati.
Per esempio?
Per esempio i versi di William Blake: "vedere il mondo in un grano di sabbia/e il paradiso in un fiore selvaggio/tenere l'infinito nel palmo di una mano/e l'eternità in un'ora".Questo, per esempio, è quello che si prova davanti a un giardino zen in un tempio di Kyoto, Giappone. Ma anche davanti al ghiacciaio Perito Moreno, Argentina.
Ma il tuo libro parla solo di queste cose?
No. Al contrario, cerco di non dirle apertamente. Descrivo i luoghi. i cieli, le luci. Il silenzio. Il canto degli uccelli, il guizzo delle balene. Il profumo di salmastro che viene dal mare. Un prato di fiori gialli. Un branco di gazzelle nella savana. Le nubi che corrono impazzite nel cielo. Uno stormo di uccelli migratori. E spero che la mente di chi legge parta per un viaggio simile al mio viaggio. Un viaggio nel viaggio. Niente filosofia, poca poesia, molto realismo, per andare oltre la realtà in modo naturale.
A questo punto mi pare di avere capito che le dune rappresentano lo spazio e le balene fossili il tempo. Ma i microchip cosa sono?
Hai indovinato. Le balene sono il tempo, ma il tempo lento. I microchip sono il tempo veloce. Quello che si vive nel metropoli asiatiche: Tokyo, Shangai, Hong Kong. Il tempo, per intenderci dettato dall'elettronica. Il tempo di uomini che si muovono nella città come palline di un flipper impazzito. Perché, nel libro non lo scrivo, ma lo faccio capire. Il tempo ha più velocità e più dimensioni. Nel deserto, nel pieno di un tramonto, corre lento e profondo. Nel cemento delle megalopoli, corre veloce e superficiale. Pochi attimi tra le dune infuocate dureranno una vita, una vita dominata dall'elettronica durerà pochi attimi. Un libro di carta è come la sabbia del deserto o l'erba della brughiera. Credo che chi vede le foto di Alessandro Gandolfi ben stampate sulla "patinata" se le porterà dentro per sempre.
Non vale! Questa è pubblicità...
Forse. Ma, in un mondo omologato, dove la comunicazione si pone come assoluta, dove nessuno ha più dubbi, abbiamo voluto raccontare questi 33 posti diversi del pianeta non per vendere dei libri a migliaia - l'impresa è disperata, anzi impossibile - ma per riabituare la gente a ritmi lenti, al sogno e alla meditazione. Alla poesia senza versi e senza rime, la poesia della natura e delle cose.
Qual è stata l'emozione più forte che hai provato viaggiando?
Quando l'allora capo redattore della pagina delle scienze del Corriere della Sera, Viviano Domenici, mi ha portato davanti alla prima raffigurazione conosciuta della divinità. Eravamo in un angolo di Sahara chiamato Acacus, graffiati sulle rocce c'erano delle figure tracciate da mano incerta, infantile, con le teste molto grosse. Degli dei. "Qui - mi spiegò Viviano - migliaia di anni fa, l'uomo ha creato Dio a sua immagine e somiglianza"
Un granello ambizioso: l'uomo.
No. Al contrario, cerco di non dirle apertamente. Descrivo i luoghi. i cieli, le luci. Il silenzio. Il canto degli uccelli, il guizzo delle balene. Il profumo di salmastro che viene dal mare. Un prato di fiori gialli. Un branco di gazzelle nella savana. Le nubi che corrono impazzite nel cielo. Uno stormo di uccelli migratori. E spero che la mente di chi legge parta per un viaggio simile al mio viaggio. Un viaggio nel viaggio. Niente filosofia, poca poesia, molto realismo, per andare oltre la realtà in modo naturale.
A questo punto mi pare di avere capito che le dune rappresentano lo spazio e le balene fossili il tempo. Ma i microchip cosa sono?
Hai indovinato. Le balene sono il tempo, ma il tempo lento. I microchip sono il tempo veloce. Quello che si vive nel metropoli asiatiche: Tokyo, Shangai, Hong Kong. Il tempo, per intenderci dettato dall'elettronica. Il tempo di uomini che si muovono nella città come palline di un flipper impazzito. Perché, nel libro non lo scrivo, ma lo faccio capire. Il tempo ha più velocità e più dimensioni. Nel deserto, nel pieno di un tramonto, corre lento e profondo. Nel cemento delle megalopoli, corre veloce e superficiale. Pochi attimi tra le dune infuocate dureranno una vita, una vita dominata dall'elettronica durerà pochi attimi. Un libro di carta è come la sabbia del deserto o l'erba della brughiera. Credo che chi vede le foto di Alessandro Gandolfi ben stampate sulla "patinata" se le porterà dentro per sempre.
Non vale! Questa è pubblicità...
Forse. Ma, in un mondo omologato, dove la comunicazione si pone come assoluta, dove nessuno ha più dubbi, abbiamo voluto raccontare questi 33 posti diversi del pianeta non per vendere dei libri a migliaia - l'impresa è disperata, anzi impossibile - ma per riabituare la gente a ritmi lenti, al sogno e alla meditazione. Alla poesia senza versi e senza rime, la poesia della natura e delle cose.
Qual è stata l'emozione più forte che hai provato viaggiando?
Quando l'allora capo redattore della pagina delle scienze del Corriere della Sera, Viviano Domenici, mi ha portato davanti alla prima raffigurazione conosciuta della divinità. Eravamo in un angolo di Sahara chiamato Acacus, graffiati sulle rocce c'erano delle figure tracciate da mano incerta, infantile, con le teste molto grosse. Degli dei. "Qui - mi spiegò Viviano - migliaia di anni fa, l'uomo ha creato Dio a sua immagine e somiglianza"
Un granello ambizioso: l'uomo.