Un libro di Luigi Alfieri, corredato dalle immagini di Alessandro Gandolfi
Parole e immagini fanno a gara per raccontare colori, profumi e suoni; per descrivere volti, paesaggi, cieli e giardini; per emozionare e fare sognare. Le parole sono di Luigi Alfieri, giornalista-scrittore giramondo, past president di NEOS (associazione di giornalisti di viaggio italiani) e capo redattore del più antico quotidiano italiano: La Gazzetta di Parma. Le fotografie sono di Alessandro Gandolfi, redattore di Repubblica pentito che ha lasciato il desk per girare i cinque continenti con la reflex a tracolla in caccia di storie: le ultime le ha raccolte in Libia, vivendo tra i ribelli di Bengasi. Il libro che le ospita, parole e fotografie, è “Dune, balene e microchip” (Mup editore, 20 euro). Il volume racconta 34 luoghi diversi, ma non è solo un libro di viaggi, è esso stesso un viaggio, un viaggio all'interno dell'uomo. Alla radice di alcune nozioni fondamentali che regolano la sua vita. In modo implicito lo spiega già il titolo. Dune perché si parla molto di deserti, quelli ocra, cenere e acciaio, fatti di sabbia, ma anche quelli verdi, come le brughiere della Mongolia e della Patagonia. E i deserti sono il posto in cui chi scrive e chi scatta foto si ritrova di fronte all'immensità del tempo e dello spazio. Gli anni si contano a migliaia e a milioni, le distanze in anni luce. In questo libro, sulle dune si sale di notte, nel silenzio assoluto (“sovrumani silenzi”, scrive Leopardi) a guardare le stelle nel cielo color cobalto. Sembra di toccarle le stelle, di poterle raccogliere come un frutto, invece quelle che noi vediamo sono luci partite miglia di anni fa. Magari quell'astro che ammiriamo è già scomparso, inghiottito da un buco nero.
C'è una foto di Alessandro Gandolfi scattata in un tramonto rosso e marrone tra le rocce dell'Acacus che fa venire i brividi, sembra cogliere per un attimo uno dei grandi misteri dell'universo, la coesistenza in un'unica situazione dell'infinitamente grande e dell'infinitamente piccolo. Il mistero che affascinava il poeta visionario William Blake: “To see a world in a grain of sand”, ovvero “Vedere un mondo in un granello di sabbia”. Nell'immagine si distingue un Tuareg piccolo piccolo, che cammina con grande dignità e sicurezza verso un interminabile succedersi di dune e di catene rocciose. E' pronto a scalarle una dopo l'altra fino a giungere all'ultima, quella che nasconde la verità. Tutti i segreti del cielo, della sabbia e del tramonto. Camminerà, racconta la foto, fino a passare quelle che Blake chiama “Doors of perception”. “Se le porte della percezione venissero sgombrate - scrive il poeta - tutto apparirebbe all'uomo come in effetti è, infinito”. E le balene? Le balene sono quelle, vive, della Baia di Samanà, in Repubblica domenicana, che si fermano a centinaia per riposarsi dopo il lungo viaggio alla ricerca del caldo che le ha portate dal Maine al mar del Caribe, ma sono anche quelle, fossili, che si trovano nel Grande Deserto Occidentale dell'Egitto. Sono vecchie di milioni di anni, e stanno lì a ricordarci che anche il tempo è infinito. E le nostre vite sono granellini di sabbia. Magari grandi come un mondo intero. Dipende dal punto di osservazione. E i microchip? I microchip sono il simbolo della società post moderna. Di Shangai, di Pechino, di Tokio. “Le città dove l'uomo - scrive Alfieri - corre come una pallina da flipper impazzita. Vive ai ritmi frenetici dettati da internet, dai telefonini, dalla comunicazione digitale, dal neo consumismo asiatico, più veloce, freddo, impersonale e spietato di quello euroamericano”.
Il gioco dell'autore sta nel contrapporre i ritmi originari della natura, quelli della savana, del deserto, delle vette andine, della foresta amazzonica, ai ritmi delle megalopoli che stanno nei paesi dell'oriente estremo. Un ossimoro per fare capire che nel mondo succede qualcosa di sbagliato. Un ammonimento a guardare tra le dune, nelle praterie, tra le acacie africane, per ritrovare, se stessi. Cioè l'uomo, quel granello di sabbia grande come l'universo. Un granello programmato per muoversi tra le dune con lentezza, cullato da un vento leggero. Non ai ritmi forsennati del microchip. Se tutto questo vi sembra complesso, il volume si può leggere in un altro modo: 34 racconti di viaggio e tante fotografie pieni di profumi, di suoni, di colori, di sensazioni da sogno. Sì, semplicemente un libro per sognare.
Il gioco dell'autore sta nel contrapporre i ritmi originari della natura, quelli della savana, del deserto, delle vette andine, della foresta amazzonica, ai ritmi delle megalopoli che stanno nei paesi dell'oriente estremo. Un ossimoro per fare capire che nel mondo succede qualcosa di sbagliato. Un ammonimento a guardare tra le dune, nelle praterie, tra le acacie africane, per ritrovare, se stessi. Cioè l'uomo, quel granello di sabbia grande come l'universo. Un granello programmato per muoversi tra le dune con lentezza, cullato da un vento leggero. Non ai ritmi forsennati del microchip. Se tutto questo vi sembra complesso, il volume si può leggere in un altro modo: 34 racconti di viaggio e tante fotografie pieni di profumi, di suoni, di colori, di sensazioni da sogno. Sì, semplicemente un libro per sognare.