Il panorama della Patagonia lo ha disegnato il vento. Le case sono basse, lunghe, con i tetti di lamiera per resistere alle folate che scendono dalle Ande. Filari di pioppi e di salici si alzano davanti alle fattorie a frangere la forza delle raffiche, gelide e secche. I cespugli della brughiera allungano le loro braccia scorticate verso occidente. Le nuvole corrono nel cielo azzurro come impazzite. Solo i puma, le pecore, i cavalli e i gauchos resistono alle sferzate di ghiaccio. Siamo nel mezzo del nulla, alla fine del mondo. In una landa tanto desolata che un centinaio di anni fa i più feroci banditi del Far West americano si rifugiavano qui per sfuggire a sceriffi e cacciatori di taglie; anche Sundance Kid e Butch Cassidy, che per tenersi allenati rapinavano le poche banche di quaggiù, derubavano i padroni degli allevamenti e poi scappavano sulla Cordigliera, al di là del confine con il Cile. In Patagonia le fattorie si chiamano estancias, e, se sono piccole, ospitano dai 20 ai 30 mila ovini. Ogni pecora ha bisogno di uno spazio vitale di quasi due ettari, quindi la minima estancia si estende su una superficie che sfiora i 40 mila ettari (la famiglia Benetton ne possiede una di 250 mila). Tra una fattoria e l’altra, nella provincia di Santa Cruz, c’è il vuoto; una sterminata brughiera chiazzata da cespugli di calafate e guanaco che, in estate, colorano l’orizzonte di giallo e di rosso. Di mano in mano che ci si avvicina alla Cordigliera andina, il panorama si fa sempre più ondulato, e, improvviso, ai piedi dei monti spunta il lago Argentino, su cui si affacciano, imponenti, i ghiacciai: sono 300, tra i quali almeno 13 di grandi dimensioni. Tutti insieme formano il Parco Nazionale Los Glaciares, un’area di 7 mila chilometri quadrati unica al mondo che l’Unesco ha dichiarato Patrimonio naturale dell’umanità. Cerro Torre e Fitz Roy sono le montagne più famose della zona protetta, due tra le mete più ambite dagli alpinisti (qui li chiamano «andinisti», ovvio) di tutto il mondo, ma la vera star del Parco è il Perito Moreno, il ghiacciaio blu. Più piccolo del Viedma e forse anche dell’Upsala, ma di gran lunga più affascinante. Con civetteria, il Perito striscia docile per 30 chilometri lungo la valle di Reichert, fino ad arrivare al lago Argentino, dove ama mostrarsi senza pudori agli spettatori appostati sui battelli. Il suo fronte è largo 4 chilometri e alto 60 metri. Per un curioso fenomeno ottico, quando le nubi coprono il sole, i ghiacci cilestrini si fanno di colore azzurro intenso, trasparente come i chicchi di verderame, donando agli spettatori emozioni capaci di far dimenticare le stilettate che il vento della Cordigliera infligge ai volti e alle mani. È docile il Perito Moreno, e permette ai suoi innamorati di esplorarlo dal di dentro: per gli amanti dell’avventura, i ranger del parco organizzano trekking tra i ghiacci millenari. Una festa di luci e di ombre, con le nubi che schizzano come le palle di un flipper ora a coprire, ora a scoprire, il sole. Di tanto in tanto dal lago arriva un boato: sono gli immensi blocchi di ghiaccio che si staccano dal fronte del Perito Moreno e precipitano nell’acqua con il fragore di una bomba a rompere il silenzio che pochi attimi prima sembrava eterno. Il ghiacciaio prende il suo nome dal più importante esploratore della Patagonia, Francisco Pascasio Moreno, che, durante la disputa sui confini tra Argentina e Cile, fu nominato esperto («perito» in spagnolo) ufficiale del governo. Il punto di partenza per visitare il parco è uno solo, Calafate (ricordate il piccolo cespuglio?). Fino a pochi anni fa era solo un pigro villaggio adagiato sul lago Argentino. Poi, con il crollo del pesos e con l’ascesa del governatore della provincia di Santa Cruz, Nestor Kirchner, alla presidenza della Repubblica Argentina, è arrivato il boom. Attratti dai bassi prezzi e dalla bellezza del Perito, i turisti di tutto il mondo hanno cominciato a catapultarsi qui e, grazie a copiosi aiuti statali, è nato un nuovo aeroporto internazionale, negozi e alberghi sono spuntati come funghi, le agenzie che organizzano escursioni al parco e nelle estancias si sono moltiplicate. Oggi Calafate è una città, magari un po’ bruttina e disordinata, ma pur sempre una città. Offre di tutto in una gamma che va dall’orrido al bello. Evitati i tanti hotel in stile internazionale, qui è possibile alloggiare in un gruppo di vere case patagoniche, gialle, basse, coperte di lamiere ondulate e protette dai pioppi, come quelle che si incontrano nella brughiera. Sono le isole di un piccolo arcipelago di buon gusto chiamato Los Sauces (i salici), realizzato per volere di due suggeritori di eccezione: Nestor e Cristina Kirchner (che ha curato personalmente l’arredamento), presidente uscente e neopresidente della Repubblica Argentina, che, a dirla tutta, abitano in un’altra casa in stile patagonico a due passi dal resort. E qualcuno sospetta che siano loro i veri proprietari de Los Sauces. Per chi vuole conoscere le «terre della fine del mondo» dal di dentro c’è la possibilità di allontanarsi da Calafate e andare a vivere per qualche giorno in una estancia nel mezzo della brughiera. Sono tanti i ricchi allevatori che hanno aperto le porte delle aziende ai viaggiatori che amano il colore locale. Qui, nel mezzo del nulla, è possibile vivere la vita dei gauchos, cavalcando per ore nella prateria, assistendo alla tosatura delle pecore, cacciando i puma, cuocendo le cosce di agnello sul fuoco, sedendosi ai piedi di un pioppo per aspettare che il sole rompa l’assedio delle nubi e regali agli occhi quella luce al sodio, vera esclusiva patagonica, che fa brillare i cespugli, le siepi, i tetti delle case, i profili dei cavalli come le lame di un coltello. E intanto i condor volteggiano in un cielo così blu che sembra di carta. (di Luigi Alfieri, da Gazzetta di Parma del 12 dicembre 2007) |
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