Mauro Bianchi
10 febbraio, Parma
Egregio signor Bianchi, io penso esattamente l’opposto. Per me l’Italia è il Paese più bello del mondo. E questo mio giudizio è confermato dai dati statistici. Secondo i vari studi in materia, la nostra penisola ospita dal sessanta al settanta per cento del patrimonio culturale mondiale. Chiese, musei, castelli, resti antichi, borghi, città d’arte, una natura straordinaria: abbiamo tutto.
Da noi non si può fare una dozzina di chilometri senza imbattersi in qualcosa di meraviglioso.
Se esce da Parma, già a Gaione trova una pieve romanica straordinaria e se prende la direzione ovest, c'è quella di Vicofertile. A Nord si imbatte nella certosa di Paradigna. Una manciata di chilometri dalla città e ci sono i castelli di Torrechiara e di Fontanellato. Pochi parmigiani sono entrati nella Rocca di San Secondo: sulle mura dormono capolavori della pittura (vedere alla voce Sala delle Gesta Rossiane) che in qualsiasi Paese del mondo sarebbero considerati unici. Da noi ci hanno tenuto dentro gli uffici del comune sino a poco tempo fa. L’elenco delle bellezze della nostra provincia è interminabile: dalla Pieve di Sasso, alle terre verdiane, dal Castello di Bardi al Duomo di Berceto, dalle terme Berzieri al borgo di Vigoleno (in verità è in provincia di Piacenza), dal paesino di Corchia alle miniere bercetesi, potremmo andare avanti per ore senza contare quello che offre la città capoluogo. Ma Parma non è un’eccezione.
Mantova, Cremona, Ferrara, Modena sono altrettanto ricche. Le città che non meritano di essere visitate si contano sulle dita di una mano. Non c'è bisogno di guide o di grande cultura per scoprire i nostri tesori. Una volta ero con mia moglie in Friuli per un weekend: abbiamo visitato Aquileia coi suoi resti romani, le sue basiliche i suoi cipressi pensosi; Grado con le pievi profumate di Medioevo; Palmanova, con le mura rosse affogate nella vitalba; Udine, un po' tedesca e un po' levantina.
Ci restava ancora un pomeriggio a disposizione. Nel duomo di Udine ci avvicina la custode, una signora elegante e distinta, e ci dice: siete mai stati a Cividale? No, rispondiamo. Allora andate, sono pochi chilometri da qui. Visitate il tempietto longobardo. All’improvviso mi sono ricordato che pochi mesi prima l’Unesco aveva dato ad alcune città longobarde italiane la qualifica di "patrimonio dell’umanità". Una di questa era Cividale, ma non ci avevo fatto molto caso. Poi mi sono ricordato che sui sussidiari Cividale compariva come prima capitale dei longobardi in marcia verso il Sud dell’Italia. Quando siamo arrivati nella cittadina, sotto un mite sole di settembre, abbiamo subito cercato il tempietto, curandoci poco dello stupendo paesaggio urbano fatto di archi a sesto acuto e di portici a crociera. Ci siamo trovati davanti un grande convento di suore affacciato su un fiume dall’acqua limpida sui cui si specchiavano le cime delle prime montagne alpine. E dentro al convento, come chiuso all’interno di un sistema di matrioske, il tempietto.
Senz'altro più democratici. Di sicuro nessuno ha mai più plasmato il gesso come i longobardi. E con questo, signor Bianchi, le ho dato un primo consiglio: se non c'è già stato, vada a Cividale.
Io non mi sono mai emozionato tanto come in quella piccola chiesa salvata dalla distruzione perché le hanno costruito sopra un grande convento, che l’ha protetta come una cassaforte.
Poi le consiglio non un luogo ma un’intera regione: la Sicilia. Non c'è terra al mondo che possa offrire altrettanto al viandante assetato di cultura. Ogni epoca storica ha lasciato un dono. Si parte dai marmi color miele che i greci hanno deposto sul promontorio marino di Selinunte o nella valle di Agrigento (la valle dei templi) o sulla collina di Segesta. Poi ci sono gli iridescenti mosaici romani della Villa del Casale, i più belli e più estesi dell’antichità. Milioni di tessere grandi come un’unghia che testimoniano la quotidianità dell’Impero. A Palermo si respira il profumo d’oriente sparso dagli arabi nel corso di una dominazione lunga e felice. Il segno della cultura islamica non si legge solo sulle pagine di alcuni grandi monumenti come la Martorana, ma galleggia ovunque nell’aria. Sta nelle parole, negli sguardi della gente, nei cibi, nei mercati. E subito dopo gli arabi, ecco in Sicilia, i Normanni, ecco il chiostro di Monreale, la cattedrale di Cefalù.
Il grande romanico, il gotico, un po' scesi dalla Francia un po' dalla penisola, per mescolarsi con l’esotico musulmano. Gli Aragonesi, nel quindicesimo secolo, hanno portato le linee classiche e arrotondandate del primo umanesimo, seguito dallo sbocciare del rinascimento. Ma la grande impronta della Sicilia è quella Barocca. Un barocco avvolgente, fatto di spirali e ascensioni, un baracco involuto, complesso, ma anche il barocco tardivo, già quasi neoclassico, il barocco di Noto, che insieme a Lecce è la capitale mondiale di questo stile architettonico.
Girando per le campagna ci sono poi i grandi palazzi, spesso malconci e cadenti, delle famiglie dei gattopardi, le grandi stirpi aristocratiche che mescolano il bruno arabo al biondo normanno e che a fine Settecento inizio Ottocento hanno costruito il trionfo del neoclassico. Ancora, a Palermo, direttamente dall’epoca dei Florio, le ville liberty affacciate sulla passeggiata a mare di Mondello. Di tutto quello che si può trovare in Europa, dall’antica Grecia, alla Parigi dell’Art Nouveau, in Sicilia non manca niente.
L’isola è un manuale di storia dell’arte a cielo aperto, un riassunto vivente della cultura del Mediterraneo.
Dall’estremo sud all’estremo nord. Ecco i "sentieri del cielo" dell’Alto Adige. Un percorso che si stende lungo la strada Claudia Augusta, la via che univa Roma alle terre danubiane e alla Baviera, nel tratto che va da Merano al passo Resia attraversando la Val Venosta. Nel trionfo dei boschi e dei ruscelli, nel verde dei prati, sotto l’azzurro del cielo e il bruno delle rocce eterne, si snodano i percorsi dei pellegrini medioevali punteggiati di cappelle, chiese, castelli e monasteri nati per dare ristoro fisico e spirituale ai viaggiatori medioevali. In questi luoghi sacri, spesso piccoli e nascosti, si trovano architetture e pitture uniche al mondo che vanno dai tempi di Carlo Magno a quelli di Federico II, dalla basilica di ispirazione bizantina alla pieve. Sono una trentina di edifici in tutto che ci restituiscono il vociare dei mercanti, il clangore delle legioni romane dirette verso la Pannonia, la potenza e l’intensità della fede medioevale immortalata per sempre sui muri da pittori dal tratto forte e cosmopolita, che intingevano il pennello tanto nei monasteri d’Irlanda, quanto nelle chiese di Ravenna e di Torcello. Una sorpresa per chi ha sempre pensato al Sud Tirolo come una terra di sola natura, di sci e di scalate tra le rocce.
Un nuovo consiglio: lungo la strada per arrivare lassù tra le montagne della Val Venosta, correndo sull'Autobrennero, si scorgono lontane le sagome fuggitive di tanti castelli. Almeno due meritano di essere visitati: quello di Avio e quello di Beseno. Il primo lo si incontra poco dopo l’uscita di Ala-Avio, inerpicandosi per stradine antiche e borghi medioevali. Il maniero con le sue sterminate mura ghibelline che salgono, lente e implacabili verso il monte, col suo mastio imponente, con le lunghe cortine, custodisce cicli di affreschi a soggetto militare e cortese davvero sorprendenti. Dalle torri si scorge un panorama sconfinato. Quello che più incanta nel castello che fu dei vescovi-conti di Trento è il modo in cui il Fai lo custodisce: ogni angolo è lindo e ben tenuto. Le aiuole, i filari di viti, i prati e le siepe sono ordinati, tosati o potati di fresco. Il servizio al viaggiatore impeccabile. La video-illustrazione del luogo perfetta. Sembra di essere in un Paese anglosassone. Un altro mondo.
Castel Beseno, candido come la neve, se ne sta appollaiato su un cucuzzolo che domina tutta la Vallagarina e l’Autobrennero, nei pressi del casello Trento Sud. Quando fu costruito in pietra bianca, in pieno Medioevo, e quando fu rimaneggiato a metà Cinquecento, doveva dominare le vie di comunicazione tra l’impero germanico e l’Italia, possente monito a chi volesse evitare il pagamento dei dazi. La fortezza è di dimensioni straordinarie ed è dotata di una duplice cerchia di mura per difendersi da cannoneggiamenti. Dentro, una città in miniatura dotata di tutto quanto serve per difendersi da un assedio. Ci sono le cantine, il forno, il pozzo, le scuderie, le officine, un campo per i tornei, il palazzo comitale. Chiudendo gli occhi si vede scorrere nella fantasia la vita di una fortezza medievale.
Vuole tornare al sud? Allora le consiglio la reggia di Caserta, per volume, la più grande del mondo e forse la più bella. La volle, in pieno Settecento, Carlo di Borbone e la disegnò il sommo architetto Luigi Vanvitelli. Quello che ammalia della villa reale, non è solo la dolcezza di panna delle pietre, non sono solo le linee soffici e leggere che testimoniano il passaggio dal tardo rococò al neoclassico, non è solo la dovizia dei capolavori di pittura e di architettura che ospita, ma sono i giardini.
Quell'immensa macchia verde che sta davanti al palazzo. Quel susseguirsi sterminato di boschi, prati, laghetti, cascate, ruscelli, aiuole, spianate, declivi, che si incastrano l’uno nell’altro come le tessere di un puzzle. Quella macchia smeraldo che, per la prima volta e forse in modo unico nella storia dell’architettura botanica, è riuscita a fondere il rigore geometrico dei giardini all’italiana con l’esuberanza selvaggia dei giardini all’inglese. Ragione e sentimento. Ordine e caos. Forza e delicatezza vanno a braccetto in un’impossibile coincidenza degli opposti di sapore metafisico. Sono centoventi ettari di natura che vanno visitati centimetro per centimetro, senza tralasciare nulla. Abbiamo fatto alcuni esempi. Mille altri ne potremmo fare.
Dai borghi toscani, a quelli meno conosciuti e altrettanto belli delle Marche. Dalle masserie del Salento, alle cascine lombarde. Dalle mura di Marostica a quelle di Monteriggioni. Dalle torri di Cremona a quelle di San Gemignano. Dal paesaggio di Portovenere a quello di Castagneto Carducci. L’Italia è un unico grande scrigno colmo di perle preziose. Basta mettere una mano dentro alla cassa ed escono bellezze di ogni tipo. Basta salire in macchina, muoversi a caso per qualche chilometro e l'antico si mostra senza veli. Non ci crede? Scenda in garage, metta in moto e parta. Non si curi di scegliere tra i punti cardinali. Ovunque incontrerà il bello e la storia.